Questo testo nasce dall’impegno profuso da anni nelle tematiche attinenti al tema della violenza domestica, prima in qualità di giornalista, poi di psicologa clinica e infine nelle supervisioni di psicoterapia, e dalle competenze teorico-pratiche conseguite in un Master universitario di II livello in Psicologia Giuridica nel corso del quale, grazie all’acume e allo smalto professionale del Prof. Paolo Capri, Presidente dell’Associazione Italiana di Psicologia Giuridica, ho avuto modo di toccare con mano peso e responsabilità dello psicologo che varca la soglia di un tribunale, sia come Consulente Tecnico del giudice sia come consulente di parte.
La delicatezza del ruolo dello psicologo nelle consulenze giudiziali è quanto mai sentita in un settore come quello della violenza domestica. Il numero di omicidi di donne da parte del partner o dell’ex partner ha subito negli ultimi 15 anni un forte aumento, passando dal 38,7% del 2004 al 61,3% del 2019. L’interrogativo più rilevante riguarda la capacità educativa dell’uomo che agisce abusi nei confronti della madre di suo figlio e indirettamente sul minore stesso, alla luce del principio standard dell’affidamento condiviso. Tale problematica ci riporta inevitabilmente alla demarcazione tra conflitto e violenza, al riconoscimento delle caratteristiche dell’agire abusante, all’individuazione dei limiti oltrepassando i quali la semplice natura conflittuale del legame di coppia si trasforma in comportamento illecito e pregiudizievole per la vittima.
L’articolo 3 della Convenzione di Istanbul è ben chiaro: non è solo la violenza fisica a qualificare la presenza di violenza domestica ma lo sono anche gli abusi sessuali, psicologici ed economici. Violenze molto difficili da dimostrare, visto che non ci sono occhi neri, ospedalizzazioni e spesso procedimenti penali paralleli a quello civile di affidamento dei figli proprio per la difficoltà di produrre prove, tanto che spesso sono le stesse Forze dell’Ordine e la Magistratura a sconsigliare di presentare una querela per abusi non dimostrabili. È stato in occasione della traduzione italiana dell’opera di Claudia Moscovici Relazioni pericolose, un saggio sulla psicopatia applicata alle relazioni intime, che ho per la prima volta compreso l’impatto degli “abusi invisibili”, principalmente della violenza psicologica, sull’equilibrio psicofisico e comportamentale dell’essere umano, uomo o donna che li subisca. È estremamente importante pertanto che gli operatori coinvolti nel sistema della giustizia – non solo il magistrato e l’esponente della Polizia Giudiziaria ma anche lo psicologo che nella Consulenza Tecnica d’Ufficio assume la veste di Pubblico Ufficiale – sappiano in primo luogo discriminare tra conflitto intrafamiliare e violenza domestica.
Prendendo in esame le disposizioni e le linee guida vigenti – dalla Convenzione di Istanbul al Codice Rosso, alle indicazioni fornite dal Consiglio Superiore della Magistratura, dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, dal Grevio, l’organismo europeo di monitoraggio dell’applicazione della predetta Convenzione, e dal Protocollo di Napoli – questa piccola opera tenta di far luce sulle problematiche che il Consulente Tecnico d’Ufficio si trova ad affrontare quando, in presenza di violenza domestica, deve rispondere ai quesiti del giudice in tema di separazione, divorzio e affidamento dei minori.
Tale procedimento comporta, al pari di quello penale conseguente alla denuncia di abusi familiari, rischi di vittimizzazione secondaria a carico delle vittime di violenza domestica, bambini compresi. La regola standard dell’affidamento congiunto sembra prevalere nelle decisioni relative all’affidamento, custodia, visite, contatti e accordi sui minori anche in presenza di relazioni genitoriali tossiche, disfunzionali e pericolose.
Il primo capitolo introduce il tema della violenza di genere e domestica e ripercorre le tappe più significative dell’opera di contrasto che il nostro Paese, e non solo, sta svolgendo dal punto di vista normativo. Sarà affrontato il tema della vittimizzazione secondaria – nella quale rientra quella processuale – e ci si occuperà di come i protagonisti dei procedimenti giudiziari, compreso il Consulente Tecnico d’Ufficio, possono alimentare processi di ri-vittimizzazione in capo alla vittima di violenza.
Nel secondo capitolo si tenterà di far luce sulla differenza tra conflitto e violenza, primo fattore di confusione e fraintendimento in grado di produrre forme di vittimizzazione secondaria, e si esporranno alcuni modelli psicologici che possono spiegare le dinamiche della difficoltà della vittima a sottrarsi al legame abusante, ritrosia spesso scambiata per complicità dagli operatori giudiziari e pertanto potenziale fonte di derubricazione della violenza a conflitto.
Infine, nel terzo capitolo si affronteranno tutte le criticità connesse ai quesiti cui il CTU è chiamato a dare risposta, con riferimento alla valutazione della personalità e delle capacità genitoriali della donna vittima di violenza, che spesso risultano compromesse proprio dagli abusi subiti.
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