Qualsiasi vittima di un predatore psicopatico deve vedersela con un forte carico di rabbia e risentimento. Ci si sente tratte in inganno dalle bugie, dal tradimento, dalla manipolazione costante, dalla maschera di integrità nella sua interezza. Tutto ciò che riguarda la relazione che consideravamo reale e basata su amore vero si rivela una finzione. La persona che credevamo di conoscere e di amare non è quella che pensavamo. Ci ritroviamo ad amare un’illusione, una maschera e, alla fine, solo una fantasia di amore, invece che una persona reale e una vera relazione. Così, i sentimenti di rabbia e di tradimento costituiscono i regolari postumi della relazione tossica con uno psicopatico. Regolari, ma pesanti. E’ difficile portare il carico di così tanta rabbia. Spesso ci viene consigliato di perdonare, se non di dimenticare l’accaduto. Il perdono prende le sembianze di un ideale religioso ed etico simile, in qualche modo, al concetto altrettanto esemplare di amore incondizionato. La psicologa Janis Abrahms Sprin, autrice di How Can I Forgive You? The Courage to Forgive, The Freedom Not To (Come posso perdonarti? Il coraggio di perdonare, la libertà di non farlo, 2005), sostiene che il perdono, come l’amore, non può essere automatici. E’ qualcosa che si guadagna, basato sulla reciprocità tra la persona davvero pentita e quella che perdona. Dal momento che gli psicopatici procurano dolore volontario e mancano di coscienza – e quindi di qualsiasi rimorso-, come fa la nozione di perdono ad applicarsi a queste relazioni? Nell’articolo riportato di seguito, Abrahms Spring riflette su una concezione più sensata di perdono: quello che si guadagna.
Quasi tutto ciò che è stato scritto sul perdono pontifica sui motivi per cui le parti lese dovrebbero perdonare: il perdono è salutare e la gente di cuore perdona. Sono ritornelli diffusi. Ma nella mia esperienza clinica più che trentennale (dedicata soprattutto alle coppie che cercano di ricucire crisi provocate da infedeltà) ho riscontrato che quando si provoca sofferenza e non si è seriamente determinati a rimediare, la parte lesa non risponde ai suggerimenti di clemenza. La cosa ha un senso: perché fare la predica alla parte ferita? Perché non rivolgersi invece a chi ha sbagliato invitandolo a guadagnarsi il perdono?
Quando chi è ferito è spinto a perdonare un trasgressore impenitente, noto che la reazione è di tre tipi:
- Si rifiuta di perdonare e insiste, “Il perdono può essere sublime, ma non è per me”. Sceglie di non perdonare e di vivere in uno stato di astio, odio e mortificazione e sappiamo che questo non fa bene.
- Gli è stato insegnato a perdonare; ci prova, ma dentro di sé continua a elaborare il tradimento: fa qualcosa che non sente.
- Sostiene di perdonare ma, in realtà, lo fa meno di quanto dica.
Secondo me, esiste un’opzione intermedia nelle dinamiche del perdono o della guarigione da sofferenze relazionali. Qualcosa che si pone tra l’astratto, illuminato concetto di perdono “puro” (senza chiedere niente in cambio), e la secca e fredda intransigenza.
Chiamo questa alternativa “accettazione”: non si tratta di perdono, ma di un rimedio alternativo elaborato dalla parte lesa per sé e dentro di sé. Non si chiede nulla alla parte che ha sbagliato, il che va bene perché in questa condizione quelli che procurano sofferenza non hanno nulla da offrire. Quando si fa male a un altro e non ci si rammarica, né si intende riparare in modo significativo, non è compito della parte ferita perdonare (chiamo questo tipo di perdono “economico”). Lo è, invece, riprendersi e guarire.
Quello che chiamo “perdono genuino” è riservato a chi fa un errore e ha il coraggio e il carattere di chiedere davvero scusa. Funziona un po’ come l’amore: può capitare di amare da soli; tutti ci siamo passati. Ma non è più sano, appagante e rasserenante amare qualcuno che merita il nostro sentimento e che ci tratta con riguardo?
Traduzione Astra
How Can I Forgive You? The Courage to Forgive, the Freedom Not To
Trovo che l’accettazione arrivi in un percorso naturale. Ho provato a perdonare ma, come dice l’articolo, il perdono prevede comunque una reciprocità. Ho provato – disobbediendo ad ogni prescrizione – a condividere con il soggetto disturbato un incontro volto ad abbandonare ogni rancore (quindi empaticamente tenendo conto degli eventuali suoi rancori elaborati da una distorsione di realtà), proprio perché il perdono prevede comunque la partecipazione dei soggetti coinvolti e ne ho avuto un netto diniego, sostenuto da parole forti che in poche righe concentravano ciò che, se non fossi giunta dove sono, avrebbero avuto un potere deflagrante. Poi è arrivata l’accettazione che riguarda solo me e rispetto a cui solo io ho il potere. Il mio processo è stato veloce e già da un pezzo ero pronta al perdono, ma l’accettazione è più del perdono perché permette di chiudere la porta definitivamente senza sbatterla. Il perdono, probabilmente, se reale accosta la porta, mentre la rabbia la chiude con violenza ma è pronta a riaprirla ad ogni spiraglio di attenuarsi. Grazie per questo blog che mi ha seguita e sostenuta nel mio processo di emancipazione dal passato.
Ciao Valeria.
Stessa tipologia di ex. E ora sono alla fase del “perdonare me stessa”, ma non riesco, e nella fase dell’accettazione dell’accaduto (che sono due facce della stessa medaglia). Come sei riuscita ad accettare? qual è la chiave, il pensiero che ha aperto il tuo spiraglio verso la serenità dopo l’accaduto?
Ti sarei davvero grata del tuo aiuto.
Beata, intanto bravissima per esserne fuori. Vorrei dire che io non ho perdonato la persona che mi ha ingannata in modo profondo e che faceva finta di amarmi solo per abusarmi meglio. Non penso che il perdono aggiunga serenità alla mia vita, nè la migliori in alcun modo. Non lo perdono (nè lui ha mai chiesto scusa o perdono) e mi sembrerebbe un atto immorale sprecare il sacro perdono per un individuo del genere. Però lavoro ogni giorno per perdonare me. Piano piano ci sto riuscendo, ma ho ancora strada da fare. Anche ad accettare ci ho messo tempo, e infine ci sono riuscita. Per me sono servite le cose seguenti, in ordine di importanza: studio intenso del tema (disturbo di personalità, abuso, relazioni abusanti), dialogo quotidiano (per mesi e mesi, e che ancora continua) con vittime che hanno avuto una esperienza simile, confronto con professionisti di disturbi di personalità e relazioni con individui disturbati), supporto di uno psicologo per superare le fasi acute del ptsd, amore (vero) di familiari e amici. Per accettare ci ho messo moltissimo, e credo che dovrei contare il tempo da quando, ancora nella relazione, avevo il sentore di stare con un individuo profondamente disturbato. Ma se lo conto dal giorno della mia fuga, allora sono circa tre mesi, in cui ogni istante del giorno e della notte cercavo di capire quale fosse la realtà. L’ostacolo più grande all’accettazione è stata per me la dissonanza cognitiva. E una certa naturale resistenza a vedere quanto profondamente ero abusata e violentata dall’uomo in cui avevo piena fiducia e che amavo davvero tanto.
Valeria, spero che questo blog ti sia utile non solo per uscire dalla sofferenza ma anche per ritrovare serenità, benessere e, un giorno, anche felicità: ciò che meriti.
Grazie molte. Serenità, benessere sono già arrivati e mi pare un successone! La felicità è il traguardo e sono già partita con un “pronta e via” da autorevoli trainer come questo blog e altri esperti sul penoso fenomeno. Grazie ancora
Ciao Valeria, una domanda che penso si pongano tutte le sopravvissute al trauma: ti sei avvalsa di un supporto terapeutico e quanto tempo è stato necessario, nel tuo caso, per sentire di “esserne fuori”. Grazie e sono felice per te.
Cara, leggo solo ora la tua domanda. Io ho iniziato una terapia già durante la relazione e questa, pur lavorando su di me (non avevo idea né la psicologa lo capì con chi avevo a che fare), mi aiutò a divenire via via più indipendente da lui e dalla relazione, il che ha valso la brutale e silenziosa scomparsa del narcisista. Dopo un po’ abbandonai questa terapia avvalendomi di letture e partecipazione a gruppi e forum sull’argomento. A distanza di un anno ho deciso di intraprendere un altro percorso terapeutico che sto ancora continuando e che mi è molto utile per ricostruire il senso di ciò che ho vissuto ma soprattutto per ritrovare la ferita che mi ha reso appetibile e disponibile alla relazione patologica. Per sentire di esserne fuori ci è voluto un annetto, in cui però non ho sofferto la perdita (quella l’ho ritenuta quasi subito un vantaggio nonostante non abbia vissuto una relazione violenta ma comunque non soddisfacente;ero però convinta di essere amata perdutamente fino alla fine. Da ciò che ho letto in questo blog credo che il mio psicopatico fosse “innamorato”); la cosa più difficile è stata far coincidere l’uomo che credevo di avere amato con quello che in realtà si è mostrato essere. È stato fondamentale attuare sin da subito un no contact serrato, non perché lui mi abbia mai cercato – è letteralmente sparito – ma ho bloccato tutti i canali da cui potessero arrivarmi sue notizie: whatsapp, Facebook, amici comuni. E poi la consapevolezza e la conoscenza attraverso svariate letture sulla grave patologia egregiamente nascosta. Grazie a te 😙.
Grazie Valeria, anche per me il percorso è difficile e tortuoso nel liberarmi emotivamente della sua presenza. Sono tre mesi di no contact serrato voluto da me e anche lui è sparito, nonostante il giorno prima mi dichiarasse il suo “amore”.
Percepisco da un lato un senso di liberazione perchè mai vorrei ripercorrere strade note fatte di lusinghe, atti gentili contrapposte da eccessi di ira e umiliazioni sottili.
Sto riempiendo la mia vita di interessi, ma purtroppo il suo fantasma mi accompagna, soprattutto la notte, e risulta difficile accettare lo strappo violento con cui si è dovuto concludere questa “pseudo relazione”.
Un abbraccio
Tu dici “egregiamente nascosta”…. ma io ti posso assicurare che, per lo meno il mio ex, non era e non ne è affatto consapevole!!! convintissimo di essere normale, e che la sua difficoltà di amare dipendesse OGNI VOLTA dalle partner di turno.
Poi un’altra cosa..ho letto in ordine tutti gli articoli in ordine, fin ora, ed ancora sento parlare del rapporto del soggetto con la FIGURA MATERNA. Rapporto da cui, tolte le cause biologiche, penso si originino gran parte dei problemi relazionali.
Forse, della sua infanzia problematica e traumatica, se ne parla piu’ avanti???
Cris, ci sono persone disturbate consapevoli di esserlo, in terapia da anni, e persone a cui fa comodo pensare di essere perfette e che sia colpa dell’altro. Quanto alle cause della patologia, ci soffermeremo presto sul ruolo della famiglia di origine con un’intervista al dott.Secci, esperto di narcisismo e relazioni patologiche.
Grazie, sarebbe prezioso venire a conoscenza del suo parere e delle sue spiegazioni, poichè ho notato che le fonti a riguardo scarseggiano. Credo che sia molto interessante capire come, perchè e in quali contesti familiari si origina tale patologia.. Grazie a tutti.
Cris l’intervista a Secci è online. Troverà anche la risposta al suo quesito.